Sara Campanella, vittima di femminicidio a Messina: storia di un sogno spezzato
- Annamaria Niccoli, Giornalista
- 6 apr
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 16 mag

Articolo di Annamaria Niccoli
Il caso di Sara Campanella rappresenta un tragico esempio di femminicidio che va oltre il singolo episodio di violenza, mettendo in luce un fallimento sistemico di protezione, di intervento e di prevenzione nei confronti delle donne. La sua storia, come quella di molte altre vittime, non è solo un racconto di una vita spezzata, ma un grido di allarme per la società che troppo spesso chiude gli occhi di fronte ai segnali di abuso e di pericolo.
La questione del "raptus", che tende a ridurre il crimine a un atto impulsivo e incontrollabile, è un errore grave. Non solo esonera l'autore della violenza da responsabilità, ma cancella il contesto culturale di possesso e controllo che ha permesso a questi atti di violenza di continuare impuniti. La vera domanda non dovrebbe essere "Perché non ha denunciato?", ma "Perché lui ha agito senza paura di affrontare le conseguenze?". La colpa non risiede nell'inerzia della vittima, ma in un sistema che non fornisce supporto, che ignora i segnali di allarme e che consente alla violenza di proliferare.
La cultura che minimizza o addirittura giustifica la violenza domestica è un altro aspetto cruciale del problema. Non bastano pene più dure; servono politiche strutturali che agiscano alla radice del problema: educazione al rispetto, supporto concreto per le vittime, e una rete di protezione che coinvolga le istituzioni, la società civile e i media. Il caso di Sara, come quello di Ilaria Sula, dimostra che ogni femminicidio non è solo un atto criminale isolato, ma il risultato di una serie di fallimenti sistemici che non tutelano la vita delle donne.
Il caso di Stefano Argentino, che ha ucciso la sua compagna di corso universitario, facoltà di Medicina a Messina, mette in evidenza le dinamiche psicologiche complesse che possono scatenare comportamenti ossessivi e violenti, in particolare quelli legati a tratti narcisistici e stalker behavior (Comunicazioni ripetute e indesiderate tramite telefono, posta, e-mail, SMS, social media, ecc. Seguire o appostarsi in luoghi come casa, scuola, lavoro o un luogo di svago. Lasciare o inviare ripetutamente oggetti o regali indesiderati). Il comportamento persecutorio e la reazione violenta, che hanno avuto come esito tragico un'ulteriore vittima, non sono episodi isolati, ma frutto di una serie di segnali e meccanismi psicologici che sono stati ignorati o mal interpretati.
Il disturbo narcisistico della personalità è spesso caratterizzato da una visione distorta della realtà e da un senso di diritto nei confronti degli altri. Stefano sembra aver idealizzato la vittima, costruendo un "rapporto privilegiato" che esiste solo nella sua mente, e la sua incapacità di gestire il rifiuto l'ha spinto a una reazione estrema. Il narcisismo maligno, infatti, è particolarmente fragile quando l'ego viene minacciato, e il rifiuto è interpretato come un'umiliazione intollerabile. Questo porta alla violenza come risposta per mantenere intatta la propria autopercezione e il controllo sull'altro.
Il fatto che i segnali iniziali di stalking (messaggi ripetuti, contatti insistenti) siano stati interpretati come semplici cortesie o atteggiamenti innocenti è purtroppo un fenomeno comune. La ricerca dimostra che una parte significativa delle vittime non denuncia questi comportamenti all'inizio, proprio perché normalizzati o minimizzati dalla società, e ciò spesso non viene riconosciuto come un campanello d'allarme. Inoltre, l'uso dei social media come piattaforme di interazione ha esacerbato queste dinamiche, offrendo uno spazio virtuale dove l'ossessione può crescere in modo incontrollato, creando un'illusione di intimità che maschera la realtà.
L'elemento di stress, come la fine di un corso di studi o l'avvicinarsi a un "ultimatum", ha probabilmente amplificato il comportamento di Stefano, portandolo a cercare di forzare una relazione che non esisteva. Questo è un comportamento tipico di molti aggressori, che vedono certi momenti come "ultime chance" per ottenere ciò che desiderano, senza considerare le conseguenze per la vittima.
Un aspetto fondamentale che emerge da questo caso è l'importanza dell'educazione affettiva. Iniziare a insegnare ai giovani la differenza tra interesse romantico sano e possessività patologica potrebbe contribuire significativamente a prevenire comportamenti pericolosi. Questo deve includere la promozione di modelli di consenso attivo e il superamento degli stereotipi romantici che giustificano la persistenza ossessiva sotto la bandiera dell'amore.
Il crescente aumento dei disturbi narcisistici, in particolare tra i giovani, richiede un intervento multidisciplinare che coinvolga psicologi, educatori, forze dell'ordine e altri professionisti. I dati recenti sull'incremento dei disturbi narcisistici (+30% negli ultimi dieci anni, secondo l'APA) sottolineano l'urgenza di un cambiamento culturale e strutturale.
Il caso di Stefano Argentino non è un "incidente imprevedibile", ma piuttosto il risultato di una serie di segnali trascurati, che avrebbero dovuto attivare una risposta preventiva e di intervento. La lotta contro la violenza di genere, quindi, deve partire dal cambiamento paradigmatico: non solo rispondere al trauma, ma soprattutto prevenire la violenza attraverso una maggiore consapevolezza emotiva, l'educazione al rispetto e l'identificazione precoce dei comportamenti pericolosi.
Foto: Facebook
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