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La morte di Papa Francesco trasformata in uno spettacolo social, dispositivi mobili impugnati come "armi". Siamo alla morte dei valori umani?


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Articolo di Annamaria Niccoli

25 aprile 2025


Tale fenomeno delineato evidenzia una profonda trasformazione nella comprensione del sacro, del lutto e della partecipazione collettiva nell'era digitale. La scomparsa di una personalità di grande carisma e rilevanza simbolica, come Papa Francesco, si presenta come un'opportunità per accumulare capitale sociale. Coloro che si cimentano nel scattare un selfie accanto alla salma non sono presenti con "Io c'ero": Presenza fisica come distintivo da esibire, un modo per dire "Io sono importante, perché sto partecipando a un evento storico.". "Anch'io ho pianto": e le emozioni diventano performance, elaborate per apparire spontanee sui social media.


Lo spettacolo descritto – dispositivi mobili impugnati come "armi" perfino contro il corpo del Papa, foto di persone sorridenti accanto alla bara – segnala la rottura della distinzione tra sacro e profano. Ciò che un tempo era un momento di riflessione e rispetto diventa un evento consumistico, in cui persino la persona deceduta fa da sfondo alla propria visibilità. Il virtuale prende il sopravvento sul reale: l'enfasi non è più sull'esperienza diretta (il dolore, la preghiera), ma sulla sua rappresentazione mediatica. Il dispositivo telefonico si interpone tra l'individuo e l'evento, trasformando il lutto in contenuto.


La tradizionale distinzione: la devozione si incrocia con l'esibizionismo. I rituali funerari tradizionali erano finalizzati all'elaborazione del lutto mediate atti condivisi (preghiere, silenzi, simboli). Emozioni "su richiesta": si piange perché è socialmente richiesto, non perché si sta provando dolore. La fede sostituita dall'apparire: il "credente autoproclamato" che fotografa la bara non cerca un collegamento con il trascendente, ma un'identità da mostrare.


Turismo macabro: San Pietro é come una camera mortuaria, ora trasformata in un'attrazione turistica, simile a un museo o a una spiaggia. La morte non incute più paura; è vista come un'esperienza da raccogliere. Questa percezione affonda le sue radici in una psicologia complessa e in dinamiche di percezione sociale. Viviamo in una società in cui l'identità viene costruita attraverso i social media.


Senza un'immagine che provi la nostra esistenza, proviamo un senso di invisibilità. Paura della marginalità: chi non partecipa al "gioco" dei selfie rischia di essere emarginato dalla narrazione collettiva.


Questa è la morte della privacy.  Nessuno spazio è sacro, nemmeno quello del trapasso. La fede è ridotta a una serie di rituali superficiali da compiere, piuttosto che a un autentico percorso spirituale. Non si tratta di mera "maleducazione", ma di vera e propria deriva antropologica. Papa Francesco, che nella sua vita ha promosso la sobrietà e la misericordia, viene involontariamente preso come simbolo di una società che ha dimenticato il valore del limite e della contemplazione.


Ciò che emerge è una domanda inquietante: siamo ancora in grado di sperimentare qualcosa senza trasformarla in uno spettacolo? Forse no. Ed è questa la vera crisi.



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