Avete mai sentito parlare di turismo dei bombardamenti nella Striscia di Gaza?
- Annamaria Niccoli, Giornalista
- 23 mag
- Tempo di lettura: 2 min

Articolo di Annamaria Niccoli
23 maggio 2025
In Israele, alcuni operatori turistici hanno scoperto che la tragedia può essere commercializzata. Vengono condotte escursioni con guide nei luoghi in cui si sono svolti gli eventi organizzati da Amas il 7 ottobre 2023. Si tratta di escursioni giornaliere prenotabili online, che offrono ai partecipanti la possibilità di visitare aree della Striscia di Gaza settentrionale e punti panoramici da cui osservare le zone colpite dalla guerra; i partecipanti considerati “più fortunati” hanno inoltre la possibilità di ascoltare in prima persona gli effetti sonori dei bombardamenti e di vedere gli effetti visivi sotto forma di lampi e fumo che sale dalle rovine. Si svolgono anche escursioni sulle alture del Golan, dove i partecipanti possono visitare le basi militari israeliane e guardare oltre il confine, verso la Siria. Questo nuovo campo di studi riguarda lo “studio della morte” e traccia paragoni con la situazione storica creata dal disastro di Chernobyl. Il turismo “dark” oggi si concentra sui siti legati al conflitto in Israele e funziona più come un vero e proprio parco a tema sulla guerra. Ci sono turisti provenienti dagli Stati Uniti che si recano lì per conoscere la storia di un conflitto, vista da una collina, dove i fiumi di sangue non si vedono, eppure si può chiaramente percepire l’atmosfera di morte che pervade l’intera area di Gaza. Le visite turistiche “di morte” si estendono alle alture del Golan, territorio siriano occupato, e proseguono fino alle basi militari israeliane. Alcuni mostrano il loro sostegno all’esercito israeliano portando doni ai soldati. Questa non è solo una “spettacolarizzazione della guerra”, ma una vera e propria “pornografia del dolore”. L’aspetto più sconvolgente è che tutto ciò è totalmente legale. La mercificazione dei luoghi del conflitto sembra continuare, evocando accesi dibattiti etici sulla “spettacolarizzazione del dolore” e sulla trasformazione delle tragedie umane in attrazioni commerciali. Sostenuta dalla disciplina delle relazioni internazionali e coerente con il contesto storico del turismo delle catastrofi, una pratica con tradizioni radicate (come Chernobyl), rivalutata nel contesto dei conflitti moderni.
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